Ed eccomi qui di fronte al solito specchio, immobile e insensibile giudice di ciò per cui appaio, ancora una volta a domandarmi chi io sia.
Trovo sciocco e alquanto puerile quest'esercizio che ormai mi accompagna, o forse dovrei dire mi perseguita, da quando ho memoria. Eppure, ormai doppiata la boa dei quarantacinque anni avrei dovuto capire, avrei dovuto trovare una qualche forma di adattamento ad un qualche schema riconoscibile e condivisibile con i miei cosiddetti simili, ma questo pare non essermi possibile anzi, con l'avanzare dell'età, anche quelle parvenze di normalità simulatamente senza sforzo che mi rendevano al prossimo non del tutto alieno sembrano man mano venire meno in modo tanto impercettibile quanto inesorabile.
Almeno ho da tempo abdicato all'adolescenziale necessità di essere accettato, avendo ormai trovato un amore e amicizie che mi apprezzino così per come sono, anche se sono sempre più convinto che questi facciamo più riferimento alla propria immagine mentale di me che non a ciò che di fatto io senta nel profondo di essere che, per altro, risulta ancora in gran parte oscuro persino al mio lato cosciente.
Chi sono?
Chi è questo oscuro abitatore degli abissi della mia anima che mi osserva e mi manovra come uno Jago celato dietro un arazzo?
Scruto l'immagine del mio volto riflessa sul vetro cosparso di schizzi d'acqua e di schiuma di dentifricio rappresa, seguendo le rughe impresse sulla mia pelle dal tempo come i percorsi di un canyon di un atlante geografico in rilievo. Ogni piega, ogni solco rimanda ad ere remote delle quali restano ormai ben pochi fossili utili ad una indagine paleontologica che non conduca al richiamo di miti presi in prestito da una generazione con la quale ben poco ho condiviso e tutt'ora condivido, nell'attesa che un nuovo diluvio universale o l'apocalisse tutto spiani scaraventando in un lampo nell'oblio ogni vana chimera o illusione.
La vita è dolore.
Questa forse è l'unica certezza che sento di avere impressa nella mia mente e nelle mie carni, ma è altrettanto vero che anche di questo non posso fare assioma assoluto sul quale imperniare la mia esistenza visto che, grazie a Dio (o a chi per lui), nella mia vita non mancano anche gioie di varia natura che, seppur allietano il mio quotidiano cammino in quest'esperienza terrena, nel contempo non mi impediscono di sprofondare nella quieta e confortevole melma di una visione nichilistica dell'esistere.
La vita è dolore. Questo lo so.
Lo so da quando ancora bambino la Bestia ha cominciato a fare visita nella mia testa.
“Adesso passa. Adesso passa. Adesso smette di farmi del male, non può continuare ancora a lungo.
Oh Gesù salvami, per le tue benedette stimmate allontana da me questa pena. Oh Madonnina, per il tuo smisurato amore di madre universale, allevia la mia sofferenza. Sarò più buono lo prometto. Non mentirò, non saccheggerò più la dispensa, non mi toccherò più il pisello, lo giuro. Spegni l'interruttore di questo dolore atroce che mi tortura.”
Ma a nulla sono mai valse le mie preghiere. Dall'alto dei cieli nessuno si è mai curato di quel bambino accartocciato per terra nel folto di un bosco per non dare disturbo o forse per nascondersi nell'insensata vergogna che una simile pena dovesse per forza essere il castigo di un'oscura colpa commessa in questa o in qualche precedente esistenza.
Kyrie eleison. Signore pietà. Signore mondami dalle mie colpe, rendimi degno di godere della luce del tuo volto. Kyrie eleison.
Padre almeno spiegami quale sia stato il mio peccato. Che io ne possa essere consapevole per non incorrervi mai più. Certo nacqui da donna ma questo, anche alla luce del raziocinio in erba di una creatura di sette anni, riesce difficile considerarlo come una colpa, sembra di più l'inevitabile conseguenza di quelle leggi della natura che solo da te onnipotente possono avere avuto origine. Spiegami perchè ancora io mi debba sentire in colpa e debba pagare per il Peccato Originale compiuto eoni fa dalla sconsiderata coppia progenitrice dell'Homo Sapiens.
Ma poi, non li facesti tu a tua immagine e somiglianza?
Non fosti forse tu a credere che fossero cosa buona e pensasti bene di prenderti una pennichella riposandoti il settimo giorno?
Mettesti la macchina in moto e ti addormentasti e poi, dopo lo schianto, dopo l'inevitabile disastro, desti la colpa alla macchina stessa maledicendola per l'eternità in virtù di un non meglio definito libero arbitrio.
Libero arbitrio di che se poi, per esserti degni, altro non possiamo fare che assoggettarci alle tue leggi proni e sodomizzati nell'unica colpa di non essere altro che ciò che tu di noi hai fatto?
Ho solo sette anni ma non sono scemo, mi mancano forse degli elementi ma i presupposti per il ragionamento in sé sono già da tempo mio patrimonio consolidato.
Godo del beneficio di una mente che incessantemente osserva, studia, analizza, ragiona alla ricerca di un indizio, di una qualche parvenza di motivo ed è forse per questo che proprio nella mia testa tu mi punisci.
Penso troppo, pretendo troppo di capire cose per le quali la risposta c'è già, bella preconfezionata come quelle merendine nei loro imballi multicolori.
Per tutto c'è già una spiegazione basta solo inghiottirla e digerirla (senza masticarla), come l'ostia eucaristica, senza porsi domande così, per fede.
Ma c'è una Bestia che vive dentro di me, un animale selvaggio e violento che vuole, pretende che io respiri, che io esplori, gioisca, goda e soffra con intensità inimmaginabile... Insostenibile.
Gli occhi nello specchio continuano a fissarmi mentre le ombre del mio passato scorrono sullo sfondo come gli spettri di un romanzo gotico e noto una lacrima di tenerezza sgorgare dal rimpianto di quel bimbo che avrei potuto essere e che mai non fui.